A un secolo da Sarajevo. Quei colpi di pistola che incendiarono l’Europa

Una celebre illustrazione dell’attentato di Sarajevo

Un secolo è passato dall’attentato di Sarajevo, la scintilla che fece divampare l’incendio della Grande guerra. Cento anni dall’esplosione dei colpi di pistola che trascinarono l’Europa, e non solo, nella più grave tragedia che l’umanità avesse fino ad allora conosciuto.

Quel giorno, il 28 giugno 1914, la mira del diciannovenne serbo-bosniaco Gavrilo Princip, uno dei cospiratori presenti tra la folla, non fallì, provocando la morte dell’erede al trono dell’impero austro-ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando, e di sua moglie, Sophie Chotek. La coppia era giunta in visita ufficiale nell’anniversario della sconfitta che i turchi avevano inflitto ai serbi nella battaglia del Kosovo, nel 1389, una data stampata nella memoria di coloro che desideravano vedere la Bosnia liberarsi dal giogo austro-ungarico per unirsi alla Serbia. E Vienna, nelle ambizioni dei serbi, ispirate al panslavismo con l’appoggio della Russia, vedeva una minaccia per le province meridionali del suo impero.

Con la Belle epoque, l’Europa aveva vissuto decenni di pace e progresso; le grandi potenze avevano combattuto lontane guerre coloniali per assicurarsi lo sfruttamento di importanti risorse, ma questo aveva originato anche una miscela di antagonismi e rancori tra stati e popoli nella quale, per molti, già all’inizio del secolo, si annidava il pericolo di un esteso conflitto continentale. La Germania, per concorrere con gli inglesi nel dominio dei mari, aveva notevolmente incrementato la sua flotta. La Cordiale Intesa sancita, nel 1904, da Regno Unito e Francia per comporre le dispute riguardanti l’Egitto e il Marocco e, soprattutto, l’estensione di essa alla Russia, con consultazioni su questioni militari, fece sorgere la paura dell’accerchiamento negli Imperi centrali, Germania e Austria-Ungheria, che erano legate da vincoli e affinità.

Tuttavia, al di là della divisione in blocchi, esistevano, tra quegli stati, una interdipendenza economica e industriale e solidi accordi commerciali che – si pensava – con il perdurare della pace, avrebbe assicurato notevoli vantaggi per tutti. L’economista e saggista inglese Norman Angell, premio Nobel per la Pace, nel suo La Grande Illusione, pubblicato nel 1909, sosteneva che, se fosse scoppiata la guerra, anche la potenza vittoriosa avrebbe subito perdite enormi in campo economico e finanziario. Tra l’altro, vi erano rapporti di parentela e di grande stima tra le teste coronate: il kaiser Guglielmo II era cugino per parte di moglie dello zar Nicola II, per esempio; e i due si chiamavano affettuosamente Willy e Nicky; anche Giorgio V del Regno Unito era un loro cugino, nipoti della Regina Vittoria.

Francesco Giuseppe, quando i generali dello stato maggiore gli parlavano della necessità di muovere guerra all’Italia e alla Serbia, per ridurre i rischi di vedere l’Austria-Ungheria ridotta al rango di piccola potenza, rispondeva, deciso, che la sua era una politica di pace. L’anziano sovrano, un uomo colpito da gravi tragedie familiari, come la morte del figlio, l’erede al trono, Rodolfo, suicidatosi a Mayerling, nel 1889, con la giovane amante Maria Vetzera, e l’assassinio della moglie, Elisabetta di Baviera, nel 1898, a Ginevra, per mano dell’anarchico italiano Luigi Luccheni, mai aveva visto di buon occhio l’arciduca Francesco Ferdinando, nipote e successore designato, era figlio di Carlo Ludovico d’Asburgo, perché non aveva mai accettato il suo matrimonio con una donna della nobiltà boema non appartenente a una dinastia regnante, quindi di rango inferiore.

Sebbene preoccupati dai nuovi eventi negli inquieti Balcani, l’imperatore e lo stesso kaiser di Germania confidavano che la crisi sarebbe rimasta circoscritta in quell’area, anche se la parola fosse passata alle armi per regolare definitivamente, e in fretta, i conti con i serbi, mettendo i russi davanti al fatto compiuto. Così non fu; pur volendola scongiurare, tutti si prepararono alla guerra, perché le insistenze degli influenti stati maggiori, il sistema degli accordi e delle alleanze, l’orgoglio nazionale ebbero il sopravvento sulle ragioni della politica e della diplomazia.

E, a un mese da Sarajevo, dopo il rifiuto della Serbia ad accettare nel complesso l’umiliante ultimatum austro-ungarico, fu guerra totale, distruttiva. L’ultima guerra antica e la prima delle guerre moderne provocò milioni di morti, tra militari e civili; segnò il declino dell’Europa e cancellò imperi e nazioni, gettando i semi velenosi di altre immani catastrofi, destinate a segnare il corpo e l’anima del Novecento.

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