Italia-Germania Ovest 4 a 3, la Partita del Secolo ha cinquant’anni

Sono passati cinquant’anni dalla “Partita del Secolo”, quella semifinale mondiale di Coppa Rimet giocata il 17 giugno 1970 allo stadio Azteca di Città del Messico. “Italia-Germania Ovest 4 a 3” è una vittoria sportiva che è scolpita nel nostro immaginario come un autentico momento di orgoglio nazionale, in particolare, allora, per i tanti emigrati all’estero, costretti a mandare giù molti bocconi amari, in casa altrui. Italia e Germania erano uscite sconfitte e distrutte dalla guerra, prima alleate poi nemiche, insieme, però, (la Germania divisa tra i due blocchi del nuovo assetto geopolitico) accolte nel grande grembo dell’alleanza atlantica che aveva messo insieme i miliardi di dollari giunti dall’America con la voglia di rinascita morale e materiale. Ma le strade dell’emigrazione, purtroppo, non si erano interrotte per tanti italiani, soprattutto del Sud; e la Germania Ovest, più industrializzata e subito motore economico della nuova Europa, aveva saputo offrire un futuro lavorativo a molti di loro, senza che nei confronti dei nostri connazionali si fossero attenuati del tutto rancori e pregiudizi di antica data. E, in Italia, perduravano l’orrore per la tragica occupazione tedesca e la diffidenza, nonostante l’altra “pace” siglata tra i due popoli nelle principali località di villeggiatura del Belpaese

Gli Azzurri erano approdati a “Mexico 70” da campioni d’Europa, ma con la ferita inferta dalla Corea del Nord a Middlesbrough, mondiale inglese del 1966, ancora viva. La Germania Ovest, proprio quattro anni prima, era stata piegata a Wembley (4-2) dall’Inghilterra, nella famigerata finale delle polemiche e del goal fantasma di Geoff Hurst assegnato agli inglesi. I tedeschi (che nei quarti avevano mandato a casa proprio l’Inghilterra) non nascondevano, quindi, in terra messicana, la voglia e la rabbia, di provare a contendere la Rimet al fortissimo e favoritissimo Brasile di Pelè, il più grande calciatore della Storia.

L’Italia di Ferruccio Valcareggi (eliminato agevolmente il Messico nei quarti) era una pattuglia di giocatori di buon livello con alcune individualità, già da tempo, di caratura internazionale come Rivera, Pallone d’oro nel 1969, e Mazzola; e come Gigi Riva, l’infallibile bomber che aveva portato il piccolo Cagliari di Manlio Scopigno, settimane prima, a vincere lo scudetto. I due gioielli del calcio milanese, che tra il 1963 e il 1969 con Milan e Inter avevano vinto ben due Coppe dei Campioni a testa, erano i protagonisti della “staffetta” che segnò il cammino azzurro, le indecisioni tattiche di Valcareggi e le immancabili polemiche giornalistiche.

Agli oltre duemila metri di altitudine, Italia e Germania Ovest, nella notte, perché da noi il fischio di inizio è a mezzanotte, disputano una partita non esaltante, a tratti, noiosa e costantemente con il fiato corto. Il goal di Roberto Boninsegna, all’8′ di gioco, impone subito un andamento preciso al confronto, con gli azzurri impegnati, spesso in affanno, a contrastare l’esuberanza fisica dei “panzer”. I giocatori in maglia bianca, guidati da un monumentale Franz Beckenbauer, esponendosi al contropiede avversario, si lanciano in un generoso quanto improduttivo forcing, verso la porta difesa da Albertosi, alla ricerca del pareggio, per tutti i minuti regolamentari. Quando l’arbitro Yamasaki sta per fischiare la fine, nel corso del terzo minuto oltre il novantesimo, è il terzino “milanista” Karl Heinz Schnellinger a violare il muro difensivo azzurro, intervenendo alla disperata su un pallone che riesce a mettere in rete. Tempi supplementari: e comincia un’altra partita, serrata e da leggenda, perché in campo nessuno si risparmia, nonostante gli errori per la scarsa lucidità, a causa delle poche energie rimaste. E’ dura giocare in altura.

Gerd Muller, di rapina, porta in vantaggio la Germania Ovest, al 94′. Tarcisio Burnich, arcigno difensore dell’Inter, riequilibra l’incontro al 98′. Mentre, Gigi Riva, finalmente Gigi Riva, al minuto 108, fa secco Maier con un chirurgico diagonale: 3 a 2 per gli azzurri, al cambio di campo, e Franz Bekenbauer, per infortunio a una spalla, costretto a giocare con un braccio bloccato al petto.

Nelle case di quell’Italia insonne, illuminate dai televisori in bianco e nero, la suspanse, a cui dà voce Nando Martellini, è di quelle mai provate prima. Alla ripresa, la stanchezza morde le gambe senza pietà, ma Gerd Muller, al minuto 110, trova l’ultimo anelito per beffare ancora Albertosi, mettendo la palla, di testa, tra il palo e il fianco di Gianni Rivera, piazzato sulla linea e poco reattivo per respingere il cuoio. Ancora pareggio, 3 a 3. Bestemmie corrono lungo tutta la penisola e dovunque ci siano italiani nel mondo. Battibecco tra il portiere azzurro e il fuoriclasse rossonero e di nuovo palla al centro. L’Italia, però, è ancora viva, il necessario per affidarsi, repentinamente, ad una discesa, sulla corsia di sinistra, di Roberto Boninsegna. Il centravanti spedisce la sfera in mezzo, lì dove il destino, al minuto 111, ha convocato all’appuntamento con la gloria imperitura, proprio Gianni Rivera. Il golden boy del calcio italiano, ovviamente, non delude e batte Maier di giustezza. E’ il sigillo ad un’impresa epica. L’esultanza di Rivera ha la stessa potenza iconica dell’urlo di Tardelli nella notte mondiale del 1982, al Bernabeu di Madrid, ancora al cospetto di un’attonita Germania Ovest. All’Azteca, non succede più niente tranne il trionfo e l’affiorare della stanchezza che assale chi abbia provato a sollevare il mondo. Succede molto in Italia, dove esplode una gioia genuina e incontenibile; e succede qualcosa di riprovevole in Germania, dove in tanti cominciano una rabbiosa caccia all’italiano, che deve pagare per quell’affronto.

Quattro giorni dopo, il 21 giugno 1970, alle 20, ci fu la finale contro un Brasile siderale e smanioso di portarsi a casa la Coppa Rimet per la terza e definitiva volta. Ma, quella, fu un’altra partita e un’altra storia.

La Partita del Secolo, in realtà, non si è mai conclusa, perché ha continuato a ripetersi, in quanto è assurta a rito collettivo della memoria e ad emblema, non solo sportivo, per più di una generazione di italiani, in un Paese che, lasciati gli anni del boom economico, si avviava verso una fase complicata della propria storia, di cui aveva avuto già drammatiche avvisaglie.

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