Una memoria straordinariamente grande, infinita. Più passa il tempo e più dovremmo sentire la necessità di avere memoria. Bisognerebbe che ognuno di noi avesse la possibilità di salire sul treno del tempo, su cui sono state caricate le pene della Storia, e ritornare, in un continuo e pietoso viaggio, a quei luoghi della disperazione, per guardare le ferite, i corpi ridotti a geografia della ferocia, le anime avvelenate dal terrore. Noi non eravamo lì; non eravamo in Germania, in Polonia, in Cecoslovacchia, in Olanda, in Belgio, in Francia e nemmeno a Roma; così come non siamo mai stati in tutte le città e nei villaggi quando si sia aggirata, in ogni epoca, la bestia dell’odio.
Noi non abbiamo conosciuto i lager, i gulag, l’esaltazione della razza; non abbiamo visto la follia che si è fatta emblema del male e decide chi merita di vivere e chi no, secondo criteri da piano industriale. Non abbiamo assistito alla consuetudine di vedere uomini ridotti in schiavitù, cancellati persino dalla loro stessa coscienza, dal loro intimo sentire.
Tuttavia, i nomi dei campi di concentramento nazisti e di ogni posto dove sia avvenuto lo sterminio di uomini, donne e bambini, perché di altra razza, altra religione, altro credo politico; perché omosessuali, zingari, disabili ci appartengo; sono l’inferno in cui potremmo precipitare ancora. Sappiamo – e nessuno può negarlo – che sono stati uccisi milioni di esseri umani negli anni della Seconda guerra mondiale, quando il nazi-fascismo e in genere i regimi totalitari perseguivano l’idea di un nuovo ordine mondiale. Ma cosa significa, oggi, milioni di esseri umani e quanti sono milioni di esseri umani mandati a morire? Milioni di esseri umani è un’affermazione da scomporre in milioni di storie, in milioni di volti, in milioni di nomi.
Leggere, documentarsi, conoscere la cronaca quotidiana delle deportazioni, i massacri, le vicissitudini di tanti disperati e l’incessante, macabra attività dei crematori è una necessità della memoria, oltre che un dovere. Quel grande dolore che calò sul mondo non può diventare indistinto, sfocato; deve essere cosa viva, come un perenne fuoco sacro che illumina la notte dell’Umanità.
dallaterrallaluna