L’Italia campione d’Europa a Wembley è la storia di una rinascita

La Nazionale di calcio riporta a Roma la Coppa Europa a distanza di 53 anni, soffiandola a un’Inghilterra che, davanti al proprio pubblico, era fortemente convinta di poterla fare sua.

Gli inglesi, approdati a una finale dopo quella della Coppa Rimet vinta nel 1966, gasati per l’entusiasmo, hanno finito per sopravvalutare i propri mezzi e, soprattutto, non hanno tenuto nella giusta considerazione il pericolo che una squadra rognosa, tenace e duttile come quella messa insieme da Roberto Mancini potesse rappresentare per la realizzazione del loro sogno.

Pieni di sé e di quel supponente “Football is coming home”, i sudditi di sua Maestà pensavano che a Wembley sarebbe stato trionfo; e ne erano convinti quando, al 2′ di gioco, Shaw ha gelato l’Italia intera, portando in vantaggio i Tre Leoni. Invece, gli Azzurri, pur nel clima subito ostile di uno stadio in cui il tifo italiano era minimo, la festa era stata apparecchiata per bene, con determinazione e umiltà, peraltro senza neanche tanti campioni e qualche infortunio, sono stati capaci di prendere in mano il filo del gioco, conseguendo il pareggio nella ripresa con Bonucci e costringendo i padroni di casa, ridimensionati nel loro ardore dagli eventi della gara, ai supplementari e poi ai rigori.

Gianluigi Donnarumma ha così giganteggiato ancora una volta, insuperabile bastione difensivo, condannando Gareth Southgate e la sua squadra all’incubo della sconfitta, proprio nel luogo dove era stata alimentata la speranza di una vittoria storica a cui tutti avevano partecipato. Inghilterra delusa e incattivita, Italia, campione d’Europa.

Si dirà che è solo calcio, per quanto gioia collettiva di un Paese dolente che nell’euforia, per un attimo, dimentica i suoi mali. Solo la Nazionale accorcia le distanze tra gli italiani; li risintonizza sulla stessa lunghezza d’onda e, al di là della retorica, li riporta in un orizzonte comune. Dove, poi, puntualmente, scoprono di non starci bene, perché un orizzonte comune non si tiene insieme solo con il “poo po po po po poooo” e sventolando il Tricolore, ma con ben altre pratiche e con ben altri propositi.

Servirebbe, allora, una Nazionale Paese, con più senso di responsabilità e meno diseguaglianze, più voglia di lottare insieme e meno voglia di fregare il prossimo, più sogni da condividere e meno sopraffazione. Utopia, probabilmente, a guardare come vanno le cose lungo lo Stivale e il volto torvo di chi lo percorre.

Intanto, il successo azzurro ai danni della perfida Albione, piccolo o grande che sia, dipende dalla prospettiva, qualcosa dice, qualcosa di buono contiene. E’, in fondo, la storia di una rinascita.

dallaterrallaluna