Messico 1970, quando il titanico Brasile di Pelè travolse l’Italia in finale

Fummo sconfitti da titani. Sconfitti, ma non umiliati, nonostante il pesante passivo, 4-1: i signori del calcio non umiliano mai. E quella sera di mezzo secolo fa, nello stadio Azteca, teatro, qualche giorno prima, della “Partita del Secolo”, il grande Brasile scese in campo solo per portarsi a casa definitivamente la Coppa Rimet, la terza, che si aggiungeva a quelle conquistate in Svezia, nel 1958, e Cile, nel 1962. Quella squadra, calata in Messico da un altro pianeta e, forse, da un altro universo, fece quanto le veniva più facile: vincere, spargendo intorno a sé la pura bellezza del calcio. Perciò, per gli Azzurri, quella non fu una disfatta, almeno sul campo. Fu una partita importante, una finale mondiale, persa contro una macchina da guerra, in quel momento, invincibile. Perdere era l’unico destino che potesse toccarci di fronte a tanta magnificenza.

Al centro di quella sublime potenza, era incastonata la maglia più prestigiosa della storia del calcio, la numero 10 verdeoro di Edson Arantes Do Nascimiento, l’uomo che l’Umanità tutta ha conosciuto e adorato come Pelè, la Perla Nera. Se esistesse davvero un dio del calcio, questi non potrebbe che avere il volto di Pelè, altrimenti non sarebbe un dio.

La Nazionale italiana aveva dato tutto nella storica semifinale vinta contro la Germania Ovest (4-3); quello firmato da Rivera, al munuto 111 di una partita infinita, fu il goal che schiantò la teutonica resistenza dei panzer e diede ai tifosi italiani una soddisfazione pari a quelle avute, negli anni a seguire, solo con i trionfi mondiali di Spagna 1982 e Germania 2006.

L’Italia giunse stanca alla sfida della finale contro avversari perfettamente in salute sul piano fisico e mentale, oltre che superiori su quello tecnico; e poi era attraversata dalle note polemiche intestine, nate attorno al dualismo Rivera-Mazzola, a cui Valcareggi non aveva saputo trovare un valido criterio di gestione. Una storia all’italiana che minò la tranquillità della missione in Messico. Rivera, come è noto, della finale giocò solo gli ultimi sei minuti; e, a distanza di tanto tempo, c’è ancora chi si chieda il perché di quella scelta da parte del commissario tecnico, le cui motivazioni non hanno mai veramente convinto. Forse, fu un modo per punire il golden boy per qualche parola in più detta ai giornalisti. Un fatto è certo, i brasiliani si stupirono nel vedere il Pallone d’oro, il più grande talento italiano, rimanere in panchina ed entrare solo quando nessuno avrebbe potuto cambiare le sorti della gara. Uno spettacolo molto triste.

Domenica 21 giugno 1970, allo stadio Azteca di Città del Messico, di fronte ad oltre centomila spettatori, gli Azzurri giocarono un buon primo tempo, riuscendo a pareggiare il goal di Pelè, colpo di testa in elevazione al 18′, con una rete di Boninsegna, al 37′. Nella ripresa, un’Italia stremata fu travolta dalla impressionante progressione brasiliana – reti di Gerson, Jairzihno e Carlos Alberto – che portò i verdeoro alla conquista della terza e inevitabile Coppa Rimet.

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