Ottant’anni fa, l’Italia si avviava verso il disastro della guerra voluta da Mussolini

Ottant’anni fa, il 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra, al fianco della Germania di Adolf Hitler. Benito Mussolini annuncia l’intervento contro Francia e Regno Unito, alle 18, dal balcone di palazzo Venezia a una piazza, come sempre, gremita e ben istruita dalla propaganda bellicista.

Il Duce decide di compiere il grande passo, rendendosi conto, però, che il conflitto potrebbe non essere breve e che, in quel momento, il suo apparato militare non sia pronto per affrontarlo. Chiaro l’avvertimento di Pietro Badoglio, capo di stato maggiore generale, sulle inadeguate condizioni delle forze armate, bisognose di molto tempo per prepararsi a partecipare ad una guerra moderna con il coinvolgimento delle grandi potenze europee. Ma il capo del fascismo, suggestionato dai travolgenti successi in Europa della Germania, complice volontario Vittorio Emanuele III, ritiene che la decisione non sia più rimandabile.

Mussolini cerca di persuadersi di avere l’appoggio della pubblica opinione, che, al contrario, nutre forti perplessità e viva preoccupazione di fronte al profilarsi degli eventi, e invita gli italiani a continuare con la consueta vita di tutti i giorni, evitando di chiedere una mobilitazione generale. Il Duce confida nella rapida vittoria di Hitler, l’unico modo per potersi sedere, con il minimo sacrificio in termini di vite umane, al tavolo della pace, incassando le agognate acquisizioni territoriali che consacrerebbero l’Italia come principale potenza del Mediterraneo.

Germania nazista e Italia fascista formalizzarono, il 22 maggio 1939, un’alleanza militare di natura aggressiva, il Patto d’Acciaio. La propaganda ne aveva esaltato lo spirito unitario, ma, la sostanza era diversa, viste le evidenti differenze che caratterizzavano le relazioni tra i due paesi. Quando Hitler decise l’invasione della Polonia, Mussolini rimase di stucco, rendendosi conto che poteva essere trascinato in guerra. E per quella guerra, l’Italia non era affatto preparata. Il Duce, dopo ripetuti tentennamenti e assurde richieste di aiuto al governo tedesco, fu costretto a dire a Hitler che non si trovava nelle condizioni di affiancare la Germania nell’invasione della Polonia. Hitler, almeno con i suoi collaboratori, espresse disappunto per la retromarcia di Mussolini, ma rimase convinto che potesse fare da solo.

La propaganda fascista, subito attivata per eseguire le disposizioni del suo capo, definì “non belligeranza” quella fase che non poteva chiamare di neutralità, dopo i tanti proclami esaltanti lo spirito guerresco dell’Italia fascista. Spirito vivo solo nella retorica, e nei sogni, di Mussolini e dei suoi gerarchi. La non belligeranza, infatti, fu accolta dagli italiani con un sospiro di sollievo e, secondo le puntuali informative dei prefetti al governo, con un certo scetticismo nei confronti del regime e viva ostilità per la Germania.

Intanto, scatenata la guerra con l’attacco alla Polonia, Hitler non aveva perso la speranza di vedere l’Italia onorare gli impegni presi col Patto d’Acciaio nei mesi precedenti, nonostante le ambiguità di Mussolini, che restava il suo antico alleato, l’unico sul quale credeva di poter contare, pur considerandolo con sospetto e, ormai, partner di livello inferiore, forse, intento a scrutare l’orizzonte della guerra per capire da che parte stare. Nonostante questo, la propaganda continuava a ribadire la solidità dell’Asse e la presunta amicizia che legava i due dittatori.

L’atteggiamento di Mussolini, sempre indeciso, privo di una politica coerente e alle prese con una confusa riorganizzazione delle forze armate, i dissapori che esistevano tra i due leader, non impedirono ai nazisti di chiedere l’invio di lavoratori italiani da impiegare nei loro settori agricolo e industriale, sotto pressione a causa delle necessità belliche. Quelle persone, diverse migliaia, in Germania, subirono continue vessazioni. Per molti tedeschi, gli italiani erano razzialmente inferiori e totalmente inaffidabili.

Nella primavera del 1940, il previsto crollo della Francia convinse il Duce ad uscire, opportunisticamente, dalla non belligeranza e schierare l’Italia dalla parte della svastica, per una guerra rapida, finale e molto utile al regime fascista. Hitler, appresa la notizia, si complimentò con il suo alleato di Roma, ma in privato, davanti ai suoi generali, disse: “Questa è la peggiore dichiarazione di guerra al mondo […] Non avrei immaginato il Duce così primitivo […] Ci sarebbe da interrogarsi ultimamente sulla sua ingenuità […] addirittura bisognerà in futuro essere più attenti nei confronti degli italiani nelle questioni politiche”. Il maggiore Gerhard Engel, aiutante militare di Hitler, aggiunse: “Una questione imbarazzante davvero: prima sono stati troppo codardi per intervenire, e ora corrono per partecipare al bottino di guerra”.

Al capo del fascismo, però, che considera Hitler un cinico senza dio e i tedeschi alla stregua di un’accozzaglia di barbari sanguinari, alle ore 18 del 10 giugno, interessa solo annunciare alla folla plaudente di piazza Venezia e al Paese intero che l’Italia fascista si avvia verso il suo destino di pretesa grandezza, al grido di: “Vincere!”.

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