Il massacro di My Lai, pagina nera della storia americana

Il 16 marzo 1968, in Vietnam, un reparto dell’esercito americano sterminò più di cinquecento civili inermi: donne, vecchi, bambini e neonati. La strage è tragicamente nota come il Massacro di My Lai, nella provincia Quang Ngai; responsabile fu una compagnia di fanteria dell’11esima Brigata, al comando del tenente William Calley, nel corso di un’azione di rastrellamento che aveva l’obiettivo di sgominare una formazione di Viet Cong.

Gli americani ritenevano che i nemici fossero in quell’area, confusi tra la popolazione del villaggio. Ma i Viet Cong non c’erano e nessuno opponeva resistenza. Ritenendo i civili una minaccia, il tenente Calley impartì l’ordine di sparare a chiunque tentasse di fuggire. In breve, cominciò la strage; chi non fu falciato dalle raffiche delle armi automatiche venne ucciso dalle baionette; le donne stuprate e i vecchi torturati. Tanta efferatezza si fermò solo quando giunse un elicottero statunitense, il cui pilota, il sottufficiale Hugh Thompson, inorridito da quanto stava accadendo, minacciò che l’equipaggio del velivolo avrebbe aperto il fuoco contro i connazionali se non fosse terminata la carneficina. I vietnamiti superstiti furono evacuati e Thompson trovò, in un fosso, un bambino di tre anni ricoperto di sangue ma illeso. L’elicotterista fece rapporto ai suoi superiori su quello che aveva visto; le gerarchie militari, però, si adoperarono perché non trapelasse nessuna notizia del massacro.

L’opinione pubblica americana apprese di quel crimine solo verso la fine del 1969, quando il giornalista Seymour Hersh, informato da un militare, riuscì a rompere il muro del silenzio con la sua inchiesta, che gli valse il Premio Pulitzer nel 1970. Il tenente Calley fu condannato all’ergastolo con l’accusa di omicidio premeditato; tuttavia, l’ufficiale scontò solo tre anni e mezzo ai domiciliari, per l’intervento diretto del presidente Nixon.

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