Arriva un mondiale di calcio crudele senza azzurro

Enzo Bearzot alza la Coppa del Mondo a Spagna 1982

Arrivano i Mondiali di Calcio in Russia e la Nazionale italiana non ci sarà, perché, come sappiamo, ha mancato la qualificazione, con la gestione tecnica di Giampiero Ventura. Non accadeva da sessant’anni che l’Italia, potenza calcistica con quattro mondiali vinti, non partecipasse alla fase finale del torneo più importante.
La tristezza, divampata dopo l’eliminazione ai play-off per mano di una non irresistibile Svezia, scemata col passare dei mesi, improvvisamente si riaffaccia ora che mancano poche settimane al fischio di inizio: nell’elenco delle squadre partecipanti, l’Italia non c’è, davvero.

Ci saranno il Brasile, la Germania, l’Argentina, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna, il Portogallo, pure l’Egitto e, per la prima volta, anche Panama; ma, non gli azzurri. Non è un brutto sogno; calcisticamente parlando, è tragica realtà.
Tifare per la Nazionale – diciamolo – è diverso, rispetto a quando lo si fa per una squadra di club; incitare gli azzurri unisce e cancella i dissapori che nascono con il campionato; sparisce il campanilismo e gli italiani delle opposte fazioni riescono anche a sorridersi, magari dopo che per tanto tempo se le sono dette di tutti i colori. Tra giugno e luglio 2018, non ci sarà questa possibilità; non ci sarà alcuna tregua. I televisori non intoneranno in coro l’Inno di Mameli, mentre per le strade non gira anima viva.

La Nazionale ci è cara, perché i suoi successi sono la traduzione più vera dei sogni che nascono sin da quando si comincia a dare un calcio ad un pallone.
Con un pallone, speri solo di fare goal; e solo quello conta. Il goal è la bellezza del sogno che si realizza; e porta con sé la memoria delle imprese e il volto familiare dei campioni, che abbiamo guardato all’infinito sugli album delle figurine Panini.

Si gioca a calcio, da piccoli, perché ci si sente un po’ come quei grandi giocatori; si evocano i loro nomi, quasi in modo taumaturgico, mentre si dribbla il compagno che entra in contrasto, o quando si tira in porta, sicuri di metterla dentro. Una volta avveniva per strada, nei cortili, sui terrazzi o sui campetti polverosi degli oratori, con tanto di ginocchia e gomiti sbucciati. Partite che duravano ore e ore sotto il sole di afosi pomeriggi d’estate, e c’era sempre da recuperare il pallone finito sotto un’auto in sosta; quando non bisognava affrontare la bellicosità di chi temeva per i vetri di porte e finestre della propria abitazione.

Tutto questo c’entra, e molto, con quello che è successo alla Nazionale di Ventura, prodotto della gestione del calcio odierno, affidata a uomini che, visto il disastroso risultato, possiamo considerare alla stregua di ladri di sogni; perché ognuno di noi nutre il mito del suo mondiale di calcio.
Nel nostro immaginario, c’è sempre un Rivera che segna il quarto goal alla Germania Ovest di Bekenbauer; un Boninsegna che pareggia il primo goal del Brasile di Pelè nella finale maestosa dello stadio Azteca; c’è sempre un Bettega che infligge l’unica sconfitta all’Argentina mondiale del ’78; e c’è sempre un Rossi, ritornato Pablito, che demolisce, con una tripletta al Sarrià di Barcellona, la macchina da guerra verdeoro di Zico, Falcao e Cerezo; c’è sempre un Tardelli con il suo urlo eterno di Madrid; come ci sono sempre le impareggiabili magie di Baggio e gli occhi spiritati di Schillaci, la classe di Totti e di Del Piero .

Noi abbiamo giocato con loro; con lo stesso sudore e lo stesso fiatone, con la stessa stanchezza e le gambe di legno. Noi, pensando a loro, a quelle prodezze, abbiamo creato una geografia dei sentimenti che ci ha avvinto da sempre, nel colore azzurro, sotto il sole cocente di mille estati sui campetti di periferia, nei cortili, sui terrazzi o per strada: partite leggendarie.

dallaterrallaluna